di Marcello G. Lucci
Pittura e ancora pittura in questa epoca antiaccademica e minimalista; una dicotomica esigenza della estetica contemporanea? L’uso dei pennelli e dei colori imperversa trionfalmente nonostante la fotografia, la cinematografia e i concettualismi più estremi: body art, situazionismo, happening.
Il ritorno alla pittura post modern è stato avvertito anche da artisti che avevano iniziato nel secolo scorso generi per così dire “antipittorici”. Il recupero di tecniche tradizionali a scoprire nuovi confini e giovani emozioni nell’ambito di scenari forse già visti ma evidentemente non del tutto sondati. Lo sviluppo di un rinnovato ciclo dell'arte dopo la crisi dei valori ideologici “forti”, delle speranze progettuali, della fiducia modernista nel progresso tecnologico. Un bisogno di riferimenti retrospettivi, insomma una sorta di ricapitolazione filogenetica che va dai graffiti delle caverne alla transavanguardia, dall’affresco minoico al graffitismo spray metropolitano. Un magnifico gioco di andirivieni, un moto continuo, spinto dalla necessità di agire il segno e il colore a fini espressivo-rappresentativi. Quel sano pendolarismo culturale che pervade la sensibilità di ogni generazione, determinandone il bagaglio culturale e con esso gli sviluppi dell’arte.
In questo contesto di immanente pittoricismo si situa con naturalezza l’attività artistica di Gianluca Ranieri, senza tempo e al di la dell’atteggiamento modale. La sua naturalezza si riferisce allo spontaneismo creativo, una vera esigenza dello spirito, a raccogliere il testimone della staffetta neo-figurativa per continuarne il percorso. Gianluca, infatti, utilizza un vago aggancio di immagine magari un labile lacerto di impressione figurale per svolgere i suoi temi narrativi fatti di luoghi, personaggi e cose immerse in un denso ambiente pittorico. Sfondi mossi da ipercromatica materia a limite con l’informale; spazi sontuosi di pennellate e colori come fluido naturale sgorgante dal gesto creativo dell’autore. Gestualità non sempre decisa e convinta, a volte ancora esitante, timida, come è giusto che sia per un giovane artista attento alla storia dell’arte e consapevole del ristretto spazio a disposizione per suggerire una parola nuova in pittura. Timidezza preziosa, evidente anche nel tratto umano del Ranieri che in tanta ritrosia e garbo dimostra un valore aggiunto al suo stile. Pittura, quindi, ancora acerba per alcuni aspetti - a conferma dell’ impegno sperimentale dell’autore - ma sempre forte nelle sua determinazione. Questa caratteristica di work in progress rappresenta ancor più, se possibile, la serietà delle prospettive di ricerca perseguite dall’artista.
Nella sua opera il segno - quasi sempre nero - assume un ruolo allusivo , un suggerimento di immagine. Contorno essenziale per racchiudere concretezza fisica. Figure schematizzate si individuano in “territori di colore” dove l’atmosfera sembra scossa da passioni; tormenti inevitabili di una vita reale e arcaica pur nella sua novità interpretativa. Uomini e donne attraversano magmatici scenari in un clima di efficace ed originale drammatizzazione. Frammenti di esodo. Popoli migranti, viandanti che incedono dubbiosi, cavalli in corsa, pesci nel vortice degli abissi a realizzare quadri di intensa atmosfera. Uomini qualunque o personaggi letterari sostenuti da forte cromatismo oltre il dato descrittivo; una specie di espressionismo della natura a contenere soggetti concreti.
Nel lavoro di Gianluca Ranieri si afferma la seduzione cromatica del non luogo. Una dimensione surreale da cui affiorano elementi “classici” della pittura per comporre storie umane, soggetti naturalistici e finanche nature morte sospese in un caos spaziale colorato, senza tempo. Non la notte, non il giorno - nelle diverse scansioni temporali - accolgono quelle persone o cose. La luce è colore anche il buio è colore, l’emozione si affida alla purezza del giallo, del rosso, del blu… nulla è descritto realisticamente tutto è accennato universalmente. Così come fa la poesia scegliendo con sofferenza ed essenzialità parole assolute, infungibili. Per di più, il nostro artista conduce un’affabulazione pittorica aperta perché subordinata alla diversa cultura o sensibilità del fruitore. Egli con immediatezza espressiva indica la “strada”, l’opera si completa solo dopo grazie all’interazione con lo spettatore; raramente un dipinto - ancor più in quanto figurativo - mantiene tanto nel tempo il suo mistero, il suo intrinseco messaggio lirico.
Il segno del nostro giovane artefice è veloce, diretto, per annunciare oggetti, quotidianità o epiche narrazioni che si stagliano su incandescenti fondali emotivi. Epifanie di una riscossa che assume spesso il senso della protesta, o declamazioni in chiave iconica della poetica esistenziale. In ogni caso pittura, sempre pittura per continuare la tradizione del racconto per immagini con il contemporaneo linguaggio della gestualità irrevocabile.
A volte mi sorprendo pensoso a riguardare il quadro che ho scelto, ancora non incorniciato esemplicemente accostato al muro, e mi chiedo come sia possibile veicolare tanti messaggi ed emozioni in una sola immagine così potentemente evocativa. In quei momenti, riportata l’idea al fondamento della esperienza e comprendendo le segrete cure dell’artista,ne compio una valutazione e ve ne faccio partecipi.
La mia fortuna consiste nella profonda conoscenza personale ed umana di Gianluca, l’averne seguito gli sviluppi della maturazione artistica e spirituale insieme, consapevolezza che mi permette di compenetrare l’essenza delle sue rappresentazioni. Nel proporre nuove ispirazioni, capita di lasciarsi sfuggire il significato delle tante immagini che vengono offerte. Come nel caso del mio amico, solo successivamente lo si riesce a cogliere appieno.Dopo qualche tempo, quando la parte razionale di me si fonde inconsciamente con la parte più intima ed emotiva, l’immagine inizia a suggerirmi quei sentimenti e a comunicarmi idee.
Vale a dire, che nel rapportarmi a Gianluca come amico ho avuto la gioia di poter condividere l’aspetto umano dell’evoluzione artistica dell’uomo, una sensazione che solo pochi fortunati hanno potuto apprezzare. Qual è dunque l’elemento che più mi appassiona è una domanda cui difficilmente potrei rispondere ma mi impone, in definitiva, di riferirvi quelle riflessioni cui mi induce il quadro di cui sopra, cercando dal particolare di risalire a tutta l’opera dell’artista.
Don Chisciotte e Sancho Panza non rappresentano forse dei soggetti originali ed è proprio per questo, a mio avviso, che possono testimoniare della fecondità artistica di Ranieri, che ha saputo spaziare dal figurativo al concettuale, all’astratto tout court. Immersi in un universo fantastico di colori, danno immediatamente la percezione della grandiosità dell’animo umano. Sono raffigurati appena dopo la famosa “Battaglia con i mulini a vento”, Don Chisciotte ed il suo scudiero si stagliano con asciutti e decisi tratti di pennarello, sullo sfondo le pale di un mulino… L’eroe di Cervantes è forte e fiero, su un ronzinante bianco e puro che sembra uscire dalla tela, a testa alta e recante uno stendardo che si perde nelle campiture dense e calde della pittura mentre il servitore su un mulo dimesso, robusto e calmo, sembra voltarsi verso il suo campione. La struttura del quadro mi ha portato ad immaginare la presenza di un esempio da seguire, un paladino di elevati ideali, a sua volta faro e guida per la restante umanità dolente. Eppure, Gianluca ha presto abbandonato questa tecnica inseguendo con nuove ricerche più ampi territori, anche mutuando precedenti esperienze artistiche o sperimentando nuove ipotesi di costruzione immaginifica. In un certo senso, l’artista ha mantenuto e continua a mantenere le promesse di un’arte che sia continuo rinnovamento nel rispetto di convenzioni che, comunque, subiscono una costante e continua mutazione. Nel suo operare, c’è un che di caotico, una bellezza indipendente dalla sostanza e dalla forma dell’opera, un’immagine che, in definitiva (ed indefinita), non è certo solo apparenza. Gianluca riesce, in una parola, a disegnare “prospettive”, pur essendo assolutamente capace di rappresentarci un paesaggio, o una teiera, o una battaglia. Insomma, non lo sfidate a “Pictionary”, perché sarebbe capace di disegnarvi la parola “dignità”.
SU: FUTUROANTERIORE
di Emidio Di Carlo
“L’idea di una pittura americana isolata, idea diffusa in questo paese fra il 1930 e il1940, mi sembra assurda proprio come l’idea di una matematica o di una fisica puramente americana (…) i problemi fondamentali della pittura contemporanea non sono legati ad alcun paese”.
E’ stato questo il pensiero di Jackson Pollock ma anche di molti storici e critici d’arte che hanno considerato l’arte moderna al di fuori dei ristretti confini nazionali.
L’esperienza di Gianluca Ranieri è di quelle che seguono, di fatto, il grande solco della pittura moderna; ovvero quell’insieme di esperienze che la pittura del più autentico americano, interprete dell’arte moderna, ci ha consegnato; non senza sottolineare che le sue opere restano la testimonianza di radicate “concrete sensazioni pittoriche”. Dunque, il “dripping” come insieme di materia pittorica e di segni in un progetto d’ampie vedute culturali, di un società in continua fibrillazione umana, di un immaginario senza confini.
Non a caso il giovane Ranieri (di età), un secolo dopo, effettua una nuova analisi (storico-critica) sul grande ventaglio narrativo offerto dal Movimento Informale, estrapolandone gli aspetti positivi ed ancora stimolanti, tenendo nel dovuto conto la necessità di una svolta dall’accademico Verismo formale non più in grado di tradurre, con il dovuto tempismo, l’incalzante divenire degli umori e delle necessità umane di una società internazionale sempre più globalizzata.
La mostra personale odierna offre molte occasioni di riscontro dell’assunto appena manifestato. Fa ritenere che l’artista marsicano si senta letteralmente imbrigliato in tale complesso storico evolutivo. L’esperienza figurativa continua a rincorrere l’ipotetica sua concezione del “nuovo”; in realtà il traguardo appare già in essere: tanto nei momenti di piena coscienza operativa, quanto nella trascendenza strettamente poetica costituita dalle ridondanti costruzioni pittorico-materiche; queste ultime espressione di un “parco delle meraviglie”, di una “foresta vergine” pullulante di colore, di forme, di un’esplosiva vegetazione. Nella paradisiaca visione naturalistica, aumenta il ritmo delle pulsazioni umane e, di conseguenza, la creatività artistica.
Tanto lussuoso apparire continua ad incalzare, cadenza sempre nuovi ritmi ed ansie liberatorie, non appare esaustivo. Nel nuovo ”immaginario figurativo” il linguaggio è punteggiato d’atmosfere poetiche compiute.
AQ 12 luglio 2012
IL PERCHÉ DI UN'ARTE
di Pierluigi Di Matteo
A volte mi sorprendo pensoso a riguardare il quadro che ho scelto, ancora non incorniciato esemplicemente accostato al muro, e mi chiedo come sia possibile veicolare tanti messaggi ed emozioni in una sola immagine così potentemente evocativa. In quei momenti, riportata l’idea al fondamento della esperienza e comprendendo le segrete cure dell’artista,ne compio una valutazione e ve ne faccio partecipi.
La mia fortuna consiste nella profonda conoscenza personale ed umana di Gianluca, l’averne seguito gli sviluppi della maturazione artistica e spirituale insieme, consapevolezza che mi permette di compenetrare l’essenza delle sue rappresentazioni. Nel proporre nuove ispirazioni, capita di lasciarsi sfuggire il significato delle tante immagini che vengono offerte. Come nel caso del mio amico, solo successivamente lo si riesce a cogliere appieno.Dopo qualche tempo, quando la parte razionale di me si fonde inconsciamente con la parte più intima ed emotiva, l’immagine inizia a suggerirmi quei sentimenti e a comunicarmi idee.
Vale a dire, che nel rapportarmi a Gianluca come amico ho avuto la gioia di poter condividere l’aspetto umano dell’evoluzione artistica dell’uomo, una sensazione che solo pochi fortunati hanno potuto apprezzare. Qual è dunque l’elemento che più mi appassiona è una domanda cui difficilmente potrei rispondere ma mi impone, in definitiva, di riferirvi quelle riflessioni cui mi induce il quadro di cui sopra, cercando dal particolare di risalire a tutta l’opera dell’artista.
Don Chisciotte e Sancho Panza non rappresentano forse dei soggetti originali ed è proprio per questo, a mio avviso, che possono testimoniare della fecondità artistica di Ranieri, che ha saputo spaziare dal figurativo al concettuale, all’astratto tout court. Immersi in un universo fantastico di colori, danno immediatamente la percezione della grandiosità dell’animo umano. Sono raffigurati appena dopo la famosa “Battaglia con i mulini a vento”, Don Chisciotte ed il suo scudiero si stagliano con asciutti e decisi tratti di pennarello, sullo sfondo le pale di un mulino… L’eroe di Cervantes è forte e fiero, su un ronzinante bianco e puro che sembra uscire dalla tela, a testa alta e recante uno stendardo che si perde nelle campiture dense e calde della pittura mentre il servitore su un mulo dimesso, robusto e calmo, sembra voltarsi verso il suo campione. La struttura del quadro mi ha portato ad immaginare la presenza di un esempio da seguire, un paladino di elevati ideali, a sua volta faro e guida per la restante umanità dolente. Eppure, Gianluca ha presto abbandonato questa tecnica inseguendo con nuove ricerche più ampi territori, anche mutuando precedenti esperienze artistiche o sperimentando nuove ipotesi di costruzione immaginifica. In un certo senso, l’artista ha mantenuto e continua a mantenere le promesse di un’arte che sia continuo rinnovamento nel rispetto di convenzioni che, comunque, subiscono una costante e continua mutazione. Nel suo operare, c’è un che di caotico, una bellezza indipendente dalla sostanza e dalla forma dell’opera, un’immagine che, in definitiva (ed indefinita), non è certo solo apparenza. Gianluca riesce, in una parola, a disegnare “prospettive”, pur essendo assolutamente capace di rappresentarci un paesaggio, o una teiera, o una battaglia. Insomma, non lo sfidate a “Pictionary”, perché sarebbe capace di disegnarvi la parola “dignità”.